Dagli USA arriva una notizia, pubblicata dal Corriere della Sera, secondo cui Attaccare bottone su un treno, o in una sala d’aspetto, con qualcuno che non conosciamo, e che presumibilmente non incontreremo mai più, è un atto benefico, un piccolo ma significativo espediente di igiene mentale… Oggi ce ne stiamo tutti zitti, imprigionati nelle cuffiette, oppure ammorbiamo chi ci sta vicino parlando con qualcuno che non è lì. Ormai sembriamo tutti quei nevrotici descritti da Freud in un geniale e profetico saggio del 1909, sempre chiusi nella loro testa a tessere un romanzo senza né capo né coda, che ci risarcisca delle ingiustizie (vere o presunte) della vita. Ed è così che stiamo sempre a contatto con tanta gente, fin troppa gente, ma non impariamo mai nulla. Mi riconosco in effetti. Non porto le cuffiette (ma non escludo di cominciare) ma non sono tra coloro che amano parlare nelle situazioni di cui sopra. Se sono con mia moglie delego a lei, che invece ha una vera specializzazione nel socializzare con chiunque, ma se sono da solo difficilmente proferisco parola di mia iniziativa. Però generalmente non sono infastidito se sono gli altri ad intavolare una conversazione. Anzi, sono nate anche delle amicizie perché qualcuno ha preso l’iniziativa di interpellarmi. Quindi, se mi incontrate su un treno (rarissimo) o in una sala d’aspetto (raro), non esitate a rivolgermi voi la parola. Grazie.