Avrete letto anche voi della vicenda di quell’imprenditore veneto, trovato morto di stenti nella propria villa a Padova ed assistito solo dal proprio cane. Una storia decisamente triste che può essere vista da prospettive diverse. Su Twitter, su qualunque argomento, si possono trovare i commenti più rancorosi. Non so perché ma vedo che su questo social network, ultimamente, gli utenti sono portati ad esprimere il peggio di sé. Ci si trova un’umanità astiosa, rancorosa, maleducata e cattiva. Pensare che il mezzo, in sé, è decisamente utile ed interessante, in quanto consente di essere aggiornati e di seguire anche personalità di una certa levatura e cultura di cui è interessante conoscere le opinioni. Ovviamente anche su questo caso doloroso molti utenti si sono “buttati” solo per sottolineare che mentre ci si occupa dei migranti gli italiani muoiono dimenticati dallo Stato.
Il riferimento era a Cacciari ed al suo “grido di dolore” in televisione durante il caso dei migranti della SeaWatch che il ministro Salvini non lasciava scendere a terra.
E questo è uno dei post … meno violenti. Ma “lo Stato”, si diceva una volta, “siamo noi”. E cosa abbiamo fatto noi per questo nostro vicino di casa anziano e abbandonato? Su “la Stampa” è stato pubblicato questo articolo di Antonella Boralevi che mi sembra interessante.
Da fuori, si vede una villa bianca. Ha l’aria di essere stata costruita negli Anni Sessanta. Dentro, ci sono due auto d’epoca, pare che siano due Ferrari. Civico 37 di via Facciolati a Padova. C’era anche un uomo. L’hanno trovato perché il cugino di 82 anni non lo sentiva da giorni e si è preoccupato. Si chiamava Vittorio Mazzucato, aveva 74 anni ed era stato, fino a venti anni fa, un uomo ricco.
Erede di una impresa importante, a Padova. Vivai. Serre Italia Mazzucato. Negli Anni ’90 l’azienda chiude. Lui continua a vivere nella villa di famiglia, accanto ai vivai. Prima con la sorella, poi solo, quando lei muore, nel 2000. Vede sempre meno persone. Gira in bicicletta. Abita con il suo yorkshire trovato abbandonato. Non parlava con nessuno, dicono adesso i vicini. La villa era una villa, ma senza acqua, né luce, né gas, né riscaldamento.
Quando l’hanno trovato morto dentro la sua villa, Mazzucato portava cappotto e guanti e berretto di lana. Doveva fare molto freddo, in quella villa. Doveva fare un freddo spaventoso, dentro la sua vita. Così freddo, da non poterlo condividere con nessuno. Se non con il tuo cane. Il tuo cane che sai che ti accetta come sei. Che ti ama come sei. Che non dà giudizi. Il suo cane che è morto accanto a lui, nella sua cesta di vimini, al gelo, nel garage.
C’è, nella morte di Vittorio Mazzucato, io credo, una straordinaria dignità. E c’è, in questa storia, un campanello che suona dentro la nostra testa, e non smette di suonare. Ci parla di quello che abbiamo avuto e di quello che abbiamo perso. Della forza che serve per accettare quello che ci accade. Del coraggio di condividere la propria caduta. Di quello che negli Anni Sessanta chiamavano «rispetto umano». Che vuol dire accogliere senza fare pettegolezzi. E c’è un verso di Elisabeth Barret Browing che sempre mi ha colpito: «Oh quale caduta di lassù»”