Su questo sono davvero intransigente. Mi rifiuto proprio di discutere sul tema “vaccini sì, vaccini no”. Trovo che non ci sia assolutamente nessuna valida ragione per evitare i vaccini e che la decisione di rendere obbligatoria la presentazione del certificato per frequentare le scuole sia assolutamente legittima e sacrosanta, uno dei pochi provvedimenti saggi presi dalla nostra classe politica. Lo slogan “Vaccini sì obbligo no” non ha senso, come ben si sa ormai, visto che si deve arrivare alla cosiddetta “immunità di gregge”, cioè a vaccinare almeno il 90/95% della popolazione per fare in modo che la malattia sia scongiurata sul territorio, come è avvenuto proprio in Italia per poliomielite e vaiolo. Tutti gli altri ragionamenti che si leggono – purtroppo – sui social o su siti internet decisamente poco affidabili sono non-ragionamenti, sono folclore, sono risultati di complottismo non provato, non hanno alcuna valenza scientifica. A chi dice che nessun altra nazione in Europa ha l’obbligo di così tanti vaccini come l’Italia, dico: beh per una volta che siamo più avanti meglio così. Ma bisogna pure considerare che in nessun paese europeo c’è così tanta disinformazione e conseguente diffidenza sull’argomento ed i nostri “cugini” europei provvedono alle vaccinazioni dei figli senza obbligo.
Quindi se la pensate diversamente (solo su questo e pochi altri argomenti) datemi senza problemi del prepotente, dell’intollerante, del maleducato e smettete pure di leggere questo blog. Me ne farò una ragione.
Chi copia chi?
L’argomento è decisamente scottante: la lite “social” tra Levante e Arisa. Quest’ultima recentemente è apparsa trasformata per via dei capelli scuri e lunghissimi, mentre ci eravamo abituati a vederla sempre con un taglio cortissimo. Ma ormai con le extension mi dicono che nulla è impossibile (e allora proverò😊). Secondo qualcuno ora Arisa ricorderebbe troppo la nuova giudice di X Factor, Levante. La stessa cantante lo ha fatto notare su Instagram con parole non troppo gentili. Non è tardata la risposta di Arisa che ha detto “Fai la brava tesoro: un conto sono i giornalisti, ma se ti ci metti pure tu a fare la str… ci fai una brutta figura”. Ovviamente poi entrambe hanno dichiarato che si trattava di uno scherzo, tutto combinato. Non ci crede nessuno, anche se forse: potrebbe essere una manovra per non far notare che entrambe hanno copiato da…
Vabbè, oggi argomento leggero leggero, ok?
I bei programmi di @raiuno, @raidue e @raitre
Visto che ho parlato male di un comportamento di Raiuno (vedi il post), voglio anche riconoscere i meriti della tv di stato, che nell’ultimo periodo ha prodotto davvero programmi degni di nota. Raiuno in questi primissimi giorni del nuovo anno ci ha già regalato una serata con un mito come Roberto Bolle, che tutto il mondo ci invidia. E insieme a lui ci ha fatto apprezzare una volta di più, se ce ne fosse stato bisogno, il talento di Virginia Raffaele. Ma sempre Raiuno ci sta proponendo il nuovo programma di Alberto Angela sulle Meraviglie del nostro paese. I giornali si sono stupiti degli ascolti da “Grande Fratello Vip” che questa trasmissione di divulgazione è riuscita a raccogliere, ma evidentemente c’è un pubblico che, quando la qualità del programma è alta, torna sulla tv generalista invece di trattenersi solo sulle pay-tv. Fra l’altro Meraviglie – La penisola dei tesori è stato trasmesso anche in qualità 4k sul canale 210 di Tvsat, con una definizione davvero straordinaria. Insomma, la nostra televisione di Stato quando non si perde a rincorrere le tv commerciali riesce ad offrirci una qualità di livello altissimo. Raidue pochi mesi fa ci ha dato intrattenimento di gran classe con la seconda edizione del programma Stasera casa Mika e, anche sul fronte leggero dei “reality”, i format de “Il collegio” e “Pechino Express” sono comunque realizzati con intelligenza e senza volgarità. Raitre ha poi in programma dal 13 gennaio una fiction davvero particolare. Per questa produzione la RAI ha deciso per una volta di fare come Netflix e, dalla scorsa settimana, tutti gli 8 episodi sono già disponibili sulla piattaforma Raiplay. Così l’altra sera io e mia moglie abbiamo fatto binge watching e ci siamo visti tutte le puntate in una volta. È una serie davvero molto particolare per la RAI, con uno strepitoso Valerio Mastandrea diretto da Mattia Torre, regista e sceneggiatore che racconta, in forma a volte onirica, una sua personale, e sconvolgente, esperienza. Una di quelle che in pochi attimi ti cambiano completamente l’esistenza. ”La linea verticale” è il racconto di una lunga degenza in un ospedale pubblico (ma uno di quelli che funzionano), con la descrizione di virtù e vizi di un’istituzione indispensabile: genere commedia, genere dramma e genere”medical” mescolati insieme. Come potete immaginare, una fiction decisamente atipica per la RAI, che io vi consiglio di vedere, su Raiplay o, più tradizionalmente, dal 13 gennaio su Raitre per quattro appuntamenti.
Basta foto dei figli su Facebook
Il Tribunale di Roma ha stabilito che i genitori che pubblicano foto dei figli su Facebook senza il loro consenso possono essere multati. La sentenza si riferisce a figli minorenni, ma credo che la cosa non cambi affatto se si tratta di maggiorenni. Il provvedimento in sé può essere anche giusto (sicuramente mio figlio starà dicendo: giustissimo!) anche se un tantino esagerato, secondo me. Non solo il giudice può ordinare la rimozione delle immagini dei minori postate su Facebook e altri social, – scrive il Corriere – ma può decidere anche il pagamento di una somma di denaro in favore dei figli «danneggiati». Ma quindi dovremo far firmare una liberatoria ai figli prima di pubblicare magari una loro foto insieme a noi? Sì perché se poi i rampolli ci denunciano successivamente (visto che possono anche pretendere una compensazione economica) come facciamo a dimostrare che avevamo avuto il loro consenso? Effettivamente un’ eccessiva esposizione dei minori sui social è sicuramente da evitare. Mio figlio non è più minorenne, e proprio non ama farsi foto con me. Quando ci provo mi dice “Su papà fai il bravo e smettila”. Ho fatto davvero pochissime foto con lui, recentemente solo una a Natale… ma adesso dovrò stare ancora più attento. Al limite userò i pixel sugli occhi come fanno i giornali con i figli minori dei vip…
Il cassiere del supermercato
L’altro giorno ho accompagnato mia moglie a fare la spesa in un piccolo supermercato cittadino, lo stesso di cui vi avevo parlato nel post del 16 dicembre “La gaffe imperdonabile” (se ve lo siete perso leggetelo, cliccando sul titolo a fianco) e ad attenderci alla cassa c’era lo stesso giovane cassiere. La cliente prima di noi era una stimata dottoressa medico generico molto conosciuta in città (piccola città dove tutti si conoscono) e avevo notato che il cassiere le dava del tu. Ho pensato che forse si conoscevano da quando lui era bambino e quindi aveva conservato quella confidenza e familiarità che spesso si instaura tra medico e bambino. Ma subito dopo ho notato che si rivolgeva nello stesso modo anche a mia moglie, che ho visto alquanto perplessa. Ero molto divertito e stentavo a non ridere rumorosamente, soprattutto perché la conosco e so che davvero non sopporta questo genere di confidenza non concessa. Io trovo la cosa sicuramente da evitare e se fossi io il direttore di quel supermercato darei precise istruzioni al fine di evitare questi comportamenti, ma in genere lascio correre e passo direttamente pure io a dare del tu. Voi che ne pensate? Comunque vedrò di accompagnare più spesso mia moglie in quel supermercato, sperando di trovare sempre quel cassiere: è molto più divertente e imprevedibile che assistere a una sit-com in televisione!
Castoro, D’Urso @carmelitadurso e Gruber @OttoemezzoTW
Credo che ormai si stiano superando tutti i limiti della decenza. Non si ha più ritegno di dire e scrivere qualunque cosa passi per la mente, sia sul web ma ora anche in televisione. L’altra sera su La7 Lilly Gruber, nel suo programma “Otto e mezzo”, ha ospitato tal Carmine Castoro, che si definisce “filosofo della comunicazione”, il quale ha dichiarato senza problemi e come se stesse dicendo la cosa più normale del mondo: “A me Barbara D’Urso fa più paura dell’Isis”. Non è stato minimamente sfiorato dall’idea che una frase simile non è solo “sopra le righe”, non è solo un mezzuccio per far parlare di sé i media, è anche profondamente offensiva nei confronti di chi, negli attentati dell’Isis, ha perso persone care. Ce ne sono anche in Italia, purtroppo. Io non sono poi qui per difendere la D’Urso, che non ha bisogno sicuramente della mia difesa (e che di fronte a tal Castoro potrebbe anche semplicemente usare la celebre frase del Marchese del Grillo), ma la stessa Gruber doveva secondo me dissociarsi in modo molto più netto di come ha fatto e non solo indirizzare complimenti alla conduttrice Mediaset. Doveva condannare con forza il “filosofo” e magari anche allontanarlo. Non ne avrebbe sofferto nessuno e magari in futuro gli ospiti avrebbero messo in funzione il cervello prima di parlare.
Chapeau per Guccini
Il cantautore Francesco Guccini, mito per più di una generazione, soprattutto icona della sinistra di un po’ di anni fa, intervistato da Robinson, il settimanale di cultura di Repubblica, ha detto che da anni non scrive più canzoni, semplicemente perché “Ho capito una cosa semplice: non ho più niente da dire”. Non è da tutti arrivare a una simile decisione. Ma è sicuramente uno degli atteggiamenti più dignitosi ed ammirevoli che si possano assumere. Sono tante le personalità che dovrebbero prenderne esempio e che invece non si rassegnano. Forse tutti dovremmo fare tesoro di questa saggezza. Alcuni anni fa avevo apprezzato la stessa decisione di David Letterman che, pur raccogliendo ancora un’audience considerevole per il suo talk-show televisivo americano, aveva deciso di lasciare per “raggiunti limiti di età” a 68 anni. Invece c’è chi non si rende conto di rasentare il ridicolo. E questo vale un po’ per tutte le professioni, soprattutto in questi tempi di rapidissimi cambiamenti: davvero io dico largo ai giovani che senza sforzo riescono ad adattarsi ed a capire le nuove esigenze del mondo che ci circonda. Questo continuo spostare in avanti le età pensionabili, per via non tanto della crisi economica quanto per la palese incapacità della nostra classe politica degli anni passati (e sul futuro stendo già un velo pietoso), è secondo me quanto di peggio si possa fare per tentare di risollevare le sorti del nostro paese.
La storia del musical di Luca Cerchiari @libribompiani
Un carissimo amico per Natale mi ha regalato un volume scritto da Luca Cerchiari dal titolo “Storia del musical – Teatro e Cinema da Offenbach alla musica pop”. Sapeva che sono appassionato del genere e mi ha fatto un gran piacere perché non conoscevo questa pubblicazione, datata ottobre 2017, quindi recentissima, di cui stranamente Bompiani, per i cui tipi è edita, non aveva pensato di rendermi edotto come responsabile del portale www.musical.it . L’autore, Luca Cerchiari – leggo sull’ultima di copertina – è “Musicologo e critico musicale, tra i massimi esperti europei di musica jazz, di popular music e di discografia. Docente universitario dal 1997 (Torino, Udine, Verona, Padova, Genova), dirige presso l’Università di Milano-IULM il Master in Editoria e produzione musicale e vi insegna storia della musica pop. Conferenziere anche in Europa e Usa, è autore di un centinaio di libri e saggi (alcuni editi in altre lingue)…”. Una pubblicazione quindi che mi rende molto felice, soprattutto perché è il segno che finalmente anche in Italia si muove l’interesse verso questo genere musicale e questa potrebbe essere un’opera utilissima, oltre che per una normale lettura, soprattutto per la consultazione. Però… naturalmente c’è un però. Apro a caso il libro a pagina 302 e leggo che la protagonista di Flashdance “lavora di giorno in un cantiere edilizio per mantenersi agli studi di ballo”: mi pare universalmente noto che Alex lavori invece come saldatrice in un’acciaieria di Pittsburgh e non in un cantiere edilizio, ma la svista è perdonabile. Un peccato veniale, penso. Riapro a caso e leggo a pagina 325 che la coppia Schönberg-Boublil, autori del celeberrimo “Les Miserables”, ha successivamente firmato anche i musical Jeckyll & Hyde, Jane Eyre e Dracula, The Musical: questo non è vero essendo tali spettacoli scritti da altri autori: il primo da Wildhorn e Bricusse, il secondo da Gordon e Caird, il terzo da Widhron, Black e Hampton. E qui l’errore è davvero grave per un saggio di consultazione sul musical, anche perché di questo sono al corrente, ma se ci sono errori magari su epoche più remote non posso accorgermene; insomma il libro diventa subito poco affidabile. A pagina 308 poi apprendo che la canzone Cabaret dal musical omonimo, Cabaret, è una canzone “quasi ossessiva, espressionista, magnificamente resa da Joel Grey in un’interpretazione ai limiti del grottesco”. La canzone Cabaret viene eseguita nel musical solo da Sally Bowles e non dal Maestro di Cerimonie che era interpretato, sia a teatro che nel film, appunto da Joel Grey. A pagina 304 si parla di Mary Poppins, film del 1964 che divenne musical teatrale solo con una produzione “di molto successiva” a Broadway nel 2006: in realtà la produzione per il palcoscenico apparve prima a Londra nel 2004 e, rimaneggiata, due anni dopo a New York. Proseguo per dare un’ultima possibilità; riapro a caso e leggo a pagina 293 che la messa in scena di Evita a Broadway “comprende tra i collaboratori una star della musica pop statunitense come Prince”: davvero? Non l’avevo mai saputo, forse è vero ma, alla luce di quanto visto prima, mi sembra giusto dubitarne e pensare che si tratti di una solenne cantonata dettata dal fatto che la regia di quell’allestimento era firmata dal grande Harold Prince, che certo non è una pop-star.
Insomma: direi che anche questa volta si sia persa una buona occasione per pubblicare una seria opera in italiano sul genere che più amo. Peccato davvero.
La maleducazione di @RaiUno
Da un po’ di tempo, in occasione del Capodanno, Raiuno non trasmette più il Concerto di Vienna (spostato su Raidue) ma quello in programma allo splendido Teatro La Fenice di Venezia. È ormai un evento molto atteso, sia per la varietà dei brani musicali, tratti soprattutto dalla grande tradizione lirica italiana, che per la stupenda ambientazione. Non ha fatto eccezione il concerto di ieri, diretto dal maestro coreano Myung-Whun Chung che ha anche simpaticamente sottolineato il fatto di trovarsi nel teatro più bello del mondo nella città più bella del mondo. Il concerto ha avuto molto successo anche in sala, tanto che il pubblico ha tributato lunghi e calorosissimi applausi chiedendo insistentemente un bis. Bis che direttore, orchestrali e cantanti solisti hanno concesso. Solo che, proprio mentre stavano per cominciare, Raiuno ha deciso di interromperne la diffusione: c’era un trailer sui programmi della serata da trasmettere, c’era la pubblicità e poi alle 13.30 il Tg1. Il funzionario avrà pensato: di musica ne abbiamo già trasmessa abbastanza, chissenefrega se un po’ di abbonati ci resteranno male. Trovo tutto ciò di una maleducazione inaccettabile, soprattutto perché si tratta della televisione di Stato, che potrebbe comportarsi un po’ meglio dei concorrenti commerciali. In modo particolare perché queste inspiegabili decisioni vengono sempre prese solo quando non si tratta di eventi sportivi. Vi immaginate cosa succederebbe se la RAI decidesse di interrompere la trasmissione di una partita di calcio quando stanno per avere inizio i tempi supplementari? E non si dica che il telegiornale non può essere ritardato perché appunto, in caso di incontri di calcio, ne viene variato l’orario anche di un’ora. Nel caso di ieri si trattava solo di attendere qualche minuto in più, magari rinunciando agli spot di autopromozione. Era pretendere troppo?
Botti? No grazie!
Personalmente non ho mai capito quale gusto si provi a far esplodere i petardi a capodanno e carnevale. Forse sarà un mio problema, ma mai nella vita sono stato interessato a far scoppiare un “botto”. Eppure conosco persone insospettabili che almeno nella notte di San Silvestro si trasformano in dinamitardi e magari si sentono importanti quando mostrano ai figli, anche piccoli, come sono bravi a fare scoppiare un petardo. E mi sono sempre chiesto perché, invece di spontanee ordinanze dei sindaci, a vietare la vendita e l’utilizzo dei botti non sia una legge nazionale, che ne impedisca produzione, importazione e vendita. Io eviterei proprio di stare a distinguere tra botti legali e illegali, che ancora ieri sono stati sequestrati in grande quantità. Pare che il più ricercato quest’anno sia la bomba Kim ‘o coreano, dal nome del dittatore Kim Jong-un. Qualcuno mi dirà che è una tradizione, ma è una tradizione pericolosa, non solo perché spaventa gli animali, ma perché può provocare danni seri alle persone, perché ogni anno si contano troppi feriti per questa stupida passione. Purtroppo pare che il giro d’affari che ruota intorno a botti e fuochi d’artificio sia veramente ingente e quindi credo che non si arriverà mai a veder finire questa usanza primitiva.
Detto questo, vi auguro un 2018 pieno di serenità. Buon anno amici, ma solo se stanotte non farete scoppiare petardi.